Il viaggio di Paola - da Milano a Barcellona, via Istanbul, Vienna e Buenos Aires
Vita nel Frammezzo #4 - Paola Natalucci
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L’intervista dicembrina di Frammezzo ci porta nella vita di Paola Natalucci, prolifica autrice della newsletter e frequentatrice di lunga data di spazi di mezzo.
Ho conosciuto Paola qui su Substack e ho subito ammirato l’ondata di spunti e riflessioni che arrivano ogni due settimane nella mia inbox attraverso la sua penna (e, a volte, via voce nei suoi podcast).
La ringrazio per la generosità che ha offerto durante la nostra chiacchierata e anche per la fiducia. Tenetevi pronti a un viaggio molto esotico e tanto famigliare tra la Spagna, il Sud-Est Asiatico e la Turchia.
Buona lettura!
Paola che fa la fotosintesi alla luce del sole di Barcellona e di quello di Milano
Paola, che forma ha il tuo Frammezzo?
Il mio Frammezzo è multiforme e cangiante: è cambiato tanto negli anni, ma, in un modo o nell’altro, è sempre stato presente.
Vivo a Barcellona dal 2018 e, per me, questa città è casa, al pari di Milano che è dove sono nata. Alla Spagna e all’Italia devo aggiungere un ulteriore spazio di mezzo, il luogo da dove proviene il mio compagno: l’Argentina. A volte ci andiamo per qualche mese e, a Barcellona, frequentiamo tanti argentini, quindi mi sento spesso immersa nella loro cultura.
L’In-Between però mi ha sempre caratterizzata. Due settimane dopo la laurea, per esempio, partii alla volta di Istanbul per fare uno stage. La Turchia mi ha cambiato la vita, anche perché lì ho conosciuto tante donne che viaggiavano da sole, non solo in Europa ma anche in Medio Oriente, e questo mi ha aperto gli occhi e il cuore.
Poi è stata la volta dell’Austria, perchè sono stata otto anni con un ragazzo austriaco, vivendo a Vienna per tre, e persino della Thailandia: ho infatti abitato a Bangkok per 4 anni.
Cosa ti ha portato a vivere nell’In-Between?
Non sono partita perché stessi male a Milano.
Milano mi è sempre piaciuta, è una città che mi ha offerto tante opportunità culturali.
Poco prima che compissi 23 anni, però, ho perso mio padre per una malattia. Poi, una volta completati gli studi, è venuto a mancare anche il mio ex. Nel giro di poco Milano, per me, era quindi diventata una città di fantasmi.
Così, ho colto la palla al balzo e mi sono trasferita a Istanbul per fare uno stage. Partire alla volta della Turchia mi ha ridato ossigeno, mi è parso di tornare a respirare. Essere altrove mi ha anche dato un grande senso di libertà, soprattutto perché avevo bisogno di sentirmi spaesata e Istanbul mi ha donato lo spaesamento: non parlavo il turco, non conoscevo nessuno e stavo processando il lutto.
Istanbul è stato il mio primo, grande, Frammezzo: ero a metà tra la vita prima e la vita dopo, e questa città mi ha ricomposta, donandomi una nuova identità. All’improvviso ero “Paola, la ragazza italiana appena arrivata”, e non più “Paola, la ragazza a cui è morto il papà”.
Da quel momento, ho legato il concetto di ricostruzione con quello dello stare ‘fuori’, lontano dal mio luogo di origine. La mia ‘energia vento’ mi ha poi portata in giro in tanti luoghi diversi, ma una volta arrivata a Barcellona, il Mediterraneo mi ha fatto calare le vele, e sono rimasta.
NDR per leggere di più sul concetto di Frammezzo come fase salvifica di elaborazione del lutto, leggi il mio post di Novembre.
A livello pratico, come si svolge la tua vita nel Frammezzo? Alcune domande sorgono spontanee sentendo la tua storia: dove stai? Dove dormi la sera? Hai un set up fisso o è diverso in base alle circostanze?
Paola mentre si prende il vento sudestada a Buenos Aires
A Barcellona ho sentito il bisogno di fermarmi e di coltivare il mio rapporto con il luogo in cui vivo: recentemente io e il mio compagno, Martin, abbiamo acquistato casa.
In genere, poi, torno a Milano da mia madre ogni due o tre mesi, a meno che non ci siano esigenze di natura diversa, per esempio quest’anno in cui mia nonna stava male e sono rientrata più volte. Di solito, resto a Milano almeno una settimana, perché per me è importante sia vedere famiglia e amici, sia ritagliare momenti di solitudine nella mia città.
D’inverno, infine, a volte passiamo qualche mese in Argentina dalla famiglia del mio compagno. Nel 2024 però non ci siamo andati, e abbiamo invece deciso di vivere per quattro mesi nel Sud-Est Asiatico.
È stata e, credo, sarà la mia ultima esperienza da ‘digital nomad’ perché ho trovato molto stressante viaggiare lavorando: il lavoro ha tolto troppa presenza mentale dal luogo in cui mi trovavo.
Come alternativa, trovo il Frammezzo uno stile di vita più soddisfacente. E, in effetti, nel corso della mia vita, invece che spostarmi ogni poche settimane, ho vissuto in diversi posti a lungo, per anni, e mi sono sempre trovata meglio così.
Com’è la tua settimana tipo?
Dipende da come si configurano le mie due professioni, ma, di solito, cerco sempre di avere il lunedì mattina e il venerdì pomeriggio liberi.
Vivo nell’In-Between anche a livello professionale: oltre che copywriter e ghostwriter, sono una language coach, che non si chiama così perché dire ‘insegnante’ non faccia più figo.
Insegno lingue straniere ad adulti e, inizialmente, questo lavoro mi ha spiazzata. Imparare una lingua quando si è diventati grandi porta con sé un bagaglio personale importante: apprendere una lingua straniera può essere un viaggio emotivo.
A volte, infatti, si tratta di superare blocchi psicologici pregressi o credenze limitanti e tratti della propria personalità che ci impediscono di raggiungere i risultati sperati.
Parlo di persone che, alla prima lezione, mi hanno detto: ‘Ho sempre pensato di non potere mai imparare l’inglese perchè...’ e poi puoi aggiungerci qualsiasi trauma ti possa venire in mente; per esempio: ‘la professoressa mi diceva di essere una causa persa’, oppure ‘sono una persona introversa e fatico anche a parlare in pubblico in Italiano’ e così via.
Ho quindi deciso che sarebbe stato meglio armarsi di strumenti che mi permettessero di insegnare al meglio e di offrire supporto adeguato ai miei clienti, come le tecniche di coaching.
In generale comunque, concentro le chiamate, se posso, in tre giorni a settimana. Il tempo che non impegno con le chiamate, lo impiego in tanti modi diversi: creando materiali di lavoro asincrono e pianificando le sessioni per i clienti; occupandomi del marketing per il mio progetto; studiando, perché credo che per aiutare gli altri a crescere sia importante continuare a lavorare su se stessi; e scrivendo, per i clienti di copy e per le mie newsletter.
Quali benefici ti ha portato vivere nell’in-Between?
Mi ha donato tanta ricchezza, anche se non finanziaria perché, come dico sempre, per me il concetto di ricchezza non ha solo una forma.
Ho sempre lavorato e, sebbene sia importante parlare di denaro, il focus dovrebbe essere spostato sul perché lo sia: il guadagno è, infatti, un mezzo per garantirsi la possibilità di scelta, di scegliere cosa sia meglio per sé.
Io vedo la ricchezza di una vita nel Frammezzo come nutrimento della mia persona perchè mi ha portato ad essere multilingue: ora riesco a leggere e parlare in italiano, francese, inglese, tedesco e spagnolo. Negli anni, ho anche imparato un po’ di turco e thailandese, entrambe esperienze belle e utili per dei periodi precisi della mia vita.
Oltre a questo, il Frammezzo mi ha catapultata nella mediazione culturale a livello pratico. Da un giorno all’altro non ero più una italiana a Milano ma ero una straniera in un altro Stato. La Turchia, il Sud-Est Asiatico e persino l’Austria mi hanno insegnato che tutto è relativo, soprattutto ciò che, a livello sociale e culturale, viene spacciato come ‘universale’.
Sapere di non sapere: ecco il beneficio più grande che mi ha regalato il Frammezzo.
Paola e Theo, caro amico che è andato a trovarla in tutti i Frammezzi
Nella costruzione di questo stile di vita, hai dovuto confrontarti con dei pregiudizi? C’è qualcuno che non ha capito?
In realtà no. Io sono stata fortunata perché ho sempre avuto intorno un ambiente umano molto accogliente e mi sono anche impegnata per crearlo. Forse, ma non per una questione di pregiudizi, potrei dire che ho perso per strada alcune persone. Non è ovvio, infatti, riuscire a mantenere amicizie a distanza.
All’inizio ci ho sofferto, soprattutto nei confronti di amici che vedevo non prendersi cura del nostro rapporto. Poi però ho iniziato ad assumere un atteggiamento più taoista a riguardo: non ha senso portare rancore, i rapporti si perdono e va bene così. Anche se, ora che ho 42 anni, posso affermare che quelli che devono tornare nella nostra vita, alla fine tornano.
Pensi che costruirsi una vita su misura e poter dare ascolto alle proprie inclinazioni personali sia prerogativa esclusiva di chi è nato all’interno di un certo privilegio economico? Non è facile per tutti immaginarsi il tuo stile di vita.
Il privilegio ha tante forme. Conosco persone che sono riuscite a costruirsi una vita su misura anche senza un forte privilegio economico di base.
Una mia cara amica, per esempio, proveniva da una famiglia molto umile e da un ambiente di chiusura mentale, un clima di fondo in cui le sue stesse sorelle sono rimaste ‘incastrate’. Lei, però, ha rotto lo schema studiando, lasciando casa e mettendocela tutta per iniziare una professione che le ha poi permesso di crescere oltre ogni sua aspettativa, sia a livello personale, sia professionale che economico.
Costruirsi una vita su misura, spesso, significa dover abbandonare schemi mentali e culturali. A volte, essere liberi può equivalere a sentirsi persi e questo non piace a tutti, anzi, forse non piace a nessuno. Eppure, alcuni non smettono di continuare a spingere verso l’Oltre.
Alla fine è una questione di scelte e di priorità, per quanto possibili. Quando ero piccola, i miei genitori mi dissero che la loro priorità in quanto famiglia era viaggiare e che, per questo, avremmo dovuto rinunciare ad altre cose più materiali. Hanno sempre lavorato entrambi e hanno scelto come spendere i propri soldi.
Per questo li ringrazio, perché mi hanno cresciuta in un modo che poi ho preso e fatto mio.
Hai mai pensato di mollare il Frammezzo?
Direi di no. Diciamo che il Frammezzo è ormai una parte integrante della mia identità. Casa mia sono io e come interagisco con i luoghi in cui vivo. Ecco, forse è questo il punto: sono partita appena ventenne e questo ha modificato per sempre il mio concetto di casa, che non è una e unica.
Anche se faccio base a Barcellona, e qui sto bene, penso che sentirò sempre il desiderio di spostarmi in un luogo altro per dei periodi più o meno lunghi e per quanto possibile.
Una scritta vista da Paola a Venezia e mai dimenticata: A volte ci dimentichiamo il corpo, e invece il corpo sa.
C’è qualcuno, o qualcosa, che ti ha ispirato nell’intraprendere questo stile di vita?
Penso che viaggiare tanto fin da bambina sia stata la mia ispirazione più grande. Per questo ho sempre letto molta letteratura di viaggio. Direi che la scrittrice Elif Shafak (su Substack con ), con la sua vita a cavallo tra Inghilterra, America, Turchia e Spagna, mi abbia influenzata molto. Quando è uscito il suo romanzo La bastarda di Istanbul, vivevo in Turchia: questo libro mi ha lasciato addosso un’impressione che ancora sento molto forte.
Sapevi già, prima di questa chiacchierata, di vivere in un Frammezzo?
Direi....’sni’, perchè non lo chiamavo così.
Sapevo però che il Frammezzo me lo porto dentro, nella forma di tutti i miei “Io” che hanno vissuto in Thailandia, a Vienna e negli altri luoghi che ho chiamato casa negli anni.
Hai un consiglio da dare a chi fosse interessato ad esplorare la possibilità di vita nel Frammezzo in modo più consapevole?
Di sicuro vorrei consigliare un saggio: Orientalismo di Edward Said. Non è un libro leggero, ma mi ha molto colpita quando l’ho letto durante l’università.
Said consiglia di mettere da parte la pretesa che quello che conosciamo e il modo in cui viviamo siano, per forza di cose, quelli ‘giusti’, perché questo atteggiamento non potrà che farci vivere in un senso di insoddisfazione perenne.
In generale poi, soprattutto se si prova il desiderio di esplorare un luogo Altro, consiglierei di andarci con l’atteggiamento di ‘viaggiare verso’ qualcosa, invece che ‘andare via da’ un luogo, una persona, una situazione.
Essere in pace con la propria radice primaria, con il luogo da cui si proviene, è forse l’ingrediente più importante per stare bene anche dove si arriva e ancor più dove ci si ferma.
A me è successo a Barcellona. Il Frammezzo equivale anche a fermarsi e, al contempo, accettare di avere bisogno di mantenersi in contatto con tutte le altre parti che compongono la nostra identità.
Hai voglia di aiutarmi?
Conosci qualcuno (o magari sei proprio tu!) che vive tra due o più luoghi diversi? Che ha due lavori o passioni e ha trovato (o sta cercando) la quadra per realizzarli entrambi? Magari ti verrà in mente una coppia di amici che affronta una relazione a lunga distanza tra due città diverse o conoscenti che stanno costruendo un side business; o, ancora, parenti che stanno ristrutturando una casa in campagna per iniziare ad offrire dei corsi di giardinaggio o di cucina.
Se la risposta è sì, fammi sapere rispondendo a questa newsletter, come se stessi rispondendo a una qualsiasi email, o commentando nella Chat.
Il mio desiderio per la Community di Frammezzo è che diventi uno spazio di condivisione, una comunità in cui sentirsi liberi di raccontare la propria storia e i propri desideri, in particolare per chi pensa un po’ fuori dal comune e fatica a trovare anime affini con cui scambiare idee ed esperienze.
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Questa chiacchierata è un bel regalo per questa fine dell'anno! Grazie